Prot. 34 Lettera aperta a Elly Schlein Segretaria PD
Agrigento 29 gennaio 2024
Gent. Dott. ssa Elly Schlein
Segretaria PD
Oggetto: Lo spaccaitalia
È tempo di dire basta con questa propaganda che prende i siciliani per scemi, al riguardo il voto al Senato sull’ indecoroso progetto spaccaitalia la Meloni ha gettato la maschera: svende il Sud a Salvini e abbandona a un triste destino i territori più svantaggiati del Paese.
La sconsiderata operazione in un tempo contrassegnato da un nuovo imbarbarimento della società, mette in chiaro che: non ci sarà nemmeno un centesimo per finanziare i servizi essenziali nei territori più fragili, visto che il progetto è vincolato alla stabilità di bilancio.
La superficiale, frettolosa, orrenda, scelta operata (dal soggetto noto pere avere pensato l’indecoroso “porcellum”) in totale assenza di dibattito (sono stati sentiti gli enti locali?), evidenzia che vi sono almeno tre aspetti da riconsiderare nel disegno di legge sull’autonomia differenziata, lo che danneggerà i cittadini e sfascerà la coesione del Paese e interrogarsi come conciliare l’autonomia con i livelli essenziali delle prestazioni da assicurare a tutti e come sia possibile attivare un fondo di solidarietà.
Intanto la questione nasconde un grande problema: il ritardo nella creazione di un osservatorio in grado di comprenderne la complessità!
A tale proposito e, segnatamente, per stabilire i criteri per l’attribuzione – ove le regioni chiedessero la devoluzione di taluni poteri – bisognerà comprendere se lo stato centrale sia posto nelle condizioni di valutare se accettare e sia disponibile a concedere il trasferimento
delle competenze alle regioni, i meccanismi per finanziarle, la definizione dei Lep in modo da condurre alla convergenza territoriale.
L’assenza di dibattito e d’informazione è un gravissimo precedente giacchè pochissimi italiani sanno cosa sia l’Autonomia differenziata, di che cosa si tratta effettivamente, anche perché se n’è parlato poco, e in modo “volutamente” molto vago.
Ma occorre, al tempo stesso, riflettere sulle origini del processo e sulle implicazioni che comporta per il Paese e chiedere come giustificano il “provvedimento spaccaitalia” la Meloni e Fratelli d’Italia, con l’idea unitaria da sempre professata in campagna elettorale (propaganda?).
È evidente che per il partito della Patria, varare un regionalismo hard, in cui ogni Regione può decidere di gestire da sé una o tutte le 23 materie devolvibili risulta, davvero, un boccone avvelenato.
Appunto perciò occorre riflettere sulle ragioni che sottintendono a tali scelte (tafazzismo?), posto che tutti sanno che sia un obbrobrio, una ingiusta legge e, tuttavia, procedono verso l’abisso piuttosto che mettere al riparo la democrazia.
Infatti è facilmente prevedibile che alimenterà la protesta, il rancore e in definitiva la disaffezione: oggi pericolosamente in crescendo: registra dati allarmanti nell’ordine del 43 %.
Per tali ragioni sarebbe utile accertare se corrisponde al vero che la maggioranza approverà l’ autonomia differenziata, se è un bluff , oppure si limiterà ad una legge quadro che rimanda l’entrata in vigore dell’autonomia, al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni (lep), che dovrebbe avvenire nei prossimi 24 mesi, posto che le finanze lo permettano.
Di fatto è grave che al momento non sia previsto alcun finanziamento dei LEP.
Dunque occorre saggiare di quale autonomia si discute, se è gossip o si
tratta dei soliti equivoci, oppure di falsità.
Alla luce di ciò che emerge, infatti, tutto si intreccia insieme alla riforma dell’ autonomia differenziata vi è il cedimento al tremendo baratto per il premierato, senza alcuna preoccupazione per la serietà dei problemi e delle conseguenti reazioni dell’opinione pubblica.
E’ evidente che l’attuale governo sia impegnato in una tremenda lotta al pluralismo delle competenze consapevole che può essere un antidoto contro lo stato autoritario.
Si tratta di scelte asincrone che spostano l’orologio all’indietro sul piano economico e sociale, mentre il paese richiede una moderna politica industriale (al contrario delle scelte fallimentari operate per l’acciaio oppure e con Intel e l’acquiescenza sulle pratiche della Fiat) avrebbe bisogno di misure di contrasto alla povertà, di una politica sanitaria universalistica (non spezzettata in forma arlecchino tra regioni) lo stesso dicasi per la scuola posto che la povertà educativa prolifera e che l’Italia è il paese più ignorante d’Europa.
Invece il rischio di dividere ulteriormente il Paese e di penalizzare il Sud è molto concreto ed è davvero gravissimo perché in totale contrasto con le “condizionalità” del PNRR: transizione energetica, lotta alla disoccupazione, lotta alla povertà e alla povertà educativa, parità di genere, sviluppo del pil.
Assecondare la richiesta della Lega per mantenere in piedi la coalizione e svendere il Sud è bizzarro e rasenta l’inganno, dato che nel Meridione il partito della premier ha la sua roccaforte.
Non si tratta infatti di una piccola questione amministrativa, che riguarda solo i cittadini di quelle regioni, ma di una grande questione politica, che riguarda tutti gli italiani.
Che può portare ad una vera e propria “secessione dei ricchi” con la conseguenza di spezzettare la scuola pubblica italiana e di creare cittadini con diritti di cittadinanza di serie A e di serie B a seconda della regione in cui vivono.
Sono inquietanti, al riguardo, le affermazioni della Meloni: ”Non vedo sperequazione tra nord e sud, l’autonomia non è togliere a una Regione per dare ad un’altra, ma stabilisce il principio che se tu gestisci bene le tue risorse lo Stato può valutare di darti anche altre competenze e penso che la riforma può essere un volano per il Mezzogiorno non stupisce che sia contrario chi spende peggio i fondi europei”…
È comprensibile l’errore (se in buona fede) data la complessità dell’argomento (d’altronde non si tratta di illuminati “meridionalisti”) e che vi sia parecchia confusione, appunto perciò si rende necessario fare chiarezza almeno sui tre punti centrali a partire dai Lep.
Ma la premessa indispensabile è la corretta informazione da fornire agli italiani su ciò che sta avvenendo, dato che ne sono totalmente all’oscuro e per tutelare il funzionamento del processo democratico, dando ai parlamentari la possibilità di esercitare la loro funzione emendativa e preservando il diritto dei cittadini di ricorrere in futuro al referendum abrogativo.
Tutte cose messe a repentaglio dalla scelta, già percorsa con il precedente governo, di collegare il Ddl a una legge di bilancio.
Se si vuole discutere di autonomia lo si faccia nei tempi e nei modi corretti, soprattutto lo si faccia chiarendo una volta per tutte la questione fondamentale dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e deliberare, contestualmente, la relativa somma di circa 100 miliardi di euro.
D’altro canto si tratta di osservare la Costituzione vigente che prevede: prima di devolvere alcunché, proprio di definire i Lep su assistenza, trasporto pubblico e norme generali sull’istruzione (quelli in materia di salute, i Lea, esistono già ma inattuati): senza i quali, i diritti dei cittadini italiani cambieranno a seconda della loro zona di residenza ancor più di quanto non accada già oggi.
Inoltre, secondo il disegno di legge approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri il 15 marzo 2023e ratificato dal Senato, non si possono delegare alle regioni funzioni su cui insistono i livelli essenziali delle prestazioni (i Lep), se prima questi non sono stati definiti e quantificati dallo stato.
Ma a leggere il Ddl sembra si propaghi l’illusione che la quantificazione dei Lep determinerà automaticamente l’attribuzione di risorse alle regioni.
È il cosiddetto approccio “bottom up”; a ogni servizio da offrire si applica un costo (possibilmente “standard”, nel senso di costo minimo o almeno medio data la tecnologia), poi si fa la somma dei servizi che ogni regione deve offrire e il risultato determina automaticamente il finanziamento regionale. Ma questo approccio non può funzionare se, come sembra ovvio e come si è già fatto per la sanità, si interpretano i Lep come l’insieme di tutti i servizi offerti dal settore pubblico in una particolare funzione.
La ragione è semplice.
Se si attuasse davvero questo sistema, dovendo garantire sempre e comunque il finanziamento integrale di tutti i servizi, il governo centrale perderebbe il controllo di gran parte della propria spesa: una cosa che nessun governo può permettersi, figuriamoci il nostro.
Non a caso, nella sanità, nonostante la definizione più che ventennale dei Lea, l’approccio è strettamente “top down”: prima lo stato definisce quanto può permettersi di spendere sulla sanità in un determinato anno, poi redistribuisce le risorse tra le regioni.
Pertanto, il legame tra il costo dei Lea e il finanziamento regionale rimane sullo sfondo, ma non è certo automatico.
Esiste un ulteriore rischio nell’interpretare, così come fa sbrigativamente il Ddl, i Lep semplicemente come input di risorse da attribuire alle regioni mentre il loro monitoraggio da parte dello stato centrale servirebbe allora a sviluppare politiche nazionali dirette a spingere verso la convergenza, così che davvero l’offerta dei servizi essenziali può tendere all’uniformità sul territorio nazionale.
Il tema vero è se queste politiche per la convergenza si attuano poi davvero.
Purtroppo, l’esperienza non è positiva!
Per esempio, grazie ai test Invalsi, sappiamo da anni che il livello di competenze attribuite dalla scuola italiana agli studenti è molto più basso al Sud che al Nord del paese.
Ma nessun governo – di destra o di sinistra – si è mai posto l’obiettivo di affrontare il problema con politiche appropriate, nonostante la scuola sia adesso una funzione gestita a livello nazionale, figurarsi se venisse delegata alle regioni.
Purtroppo nei prossimi giorni l’orrendo disegno di legge, un vero abominio, approvato dal Senato andrà alle prossime votazioni, nel silenzio assordante della politica e delle classi dirigenti meridionali.
Sono domande che richiedono risposta, cordiali saluti.
Alessio Lattuca
Movimento per la Sostenibilità, per la difesa del territorio, per contrastare la collocazione del rigassificatore a ridosso della Valle dei Templi